Beppe Fenoglio definitivo

PREMESSA
Il testo risulta da un vero e proprio collage di materiali vari, citati e linkati. Scusate, non è stato possibile fare diversamente.

http://www.windoweb.it/guida/letteratura/biografia_beppe_fenoglio.htm

Beppe Fenoglio nasce nella capitale economica delle Langhe, ad Alba (Cuneo), il 1 marzo 1922 da una modesta famiglia di commercianti: i genitori gestiscono una macelleria nella zona delle vecchie case intorno al Duomo.

Dopo la scuola primaria, nel 1937 consegue la maturità al liceo, dove ha insegnanti antifascisti che, con l’amore per la libertà, gli trasmettono la passione per la lingua e la letteratura inglese e si iscrive all’Università alla Facoltà di Lettere, ma interrompe gli studi per la chiamata alle armi.

Nel 1943 frequenta il corso per allievi ufficiali ed è trasferito a Roma, dove lo trova l’armistizio dell’8 settembre.

Ritornato fortunosamente ad Alba, da Roma, Fenoglio si arruola per un breve periodo nei gruppi partigiani comunisti “Brigate Garibaldi” (i rossi) e nel 1944 entra, rimanendovi fino alla fine della guerra, nelle formazioni autonome composte da monarchici, cattolici, socialisti, repubblicani e liberali (gli azzurri o badogliani).

Negli ultimi mesi di guerra è ufficiale di collegamento con la missione inglese di stanza nel Monferrato ed alla fine della guerra inizia a dedicarsi alla narrativa e trova lavoro  come procuratore e corrispondente estero presso un’azienda vinicola;molti dei suoi lavori sono scritti sul retro di fogli di carta con intestazione della ditta.

Nella notte tra il 17 e il 18 febbraio 1963 Fenoglio muore a Torino per un cancro ai polmoni.

Dopo qualche difficoltà col mondo dell’editoria (che continueranno negli anni successivi, nonostante i numerosi premi letterari vinti), nel 1952 pubblica il suo primo libro per l’editore Einaudi, “I ventitrè giorni della città di Alba” ed inizia la stesura de “Il partigiano Johnny” che uscirà postumo nel 1968.

Nel 1954 pubblica con Einaudi il romanzo breve, centrato sul mondo delle Langhe “La malora”, poi, deluso dalla sfavorevole accoglienza della critica e dalle riserve espresse da Vittorini sul romanzo, rompe con Einaudi e nel 1959 pubblica presso Garzanti il romanzo “Primavera di bellezza” e “Un giorno di fuoco” (1959).
L’opera di Fenoglio é imperniata su due grandi temi narrativi: l’ambiente contadino delle Langhe e la guerra partigiana.

http://www.treccani.it/enciclopedia/beppe-fenoglio/

Alla sua morte precoce, F. aveva tra l’altro pubblicato I ventitré giorni della città di Alba, 1952; La malora, 1954; Primavera di bellezza, 1959. Postumi sarebbero usciti Un giorno di fuoco, 1963; Una questione privata, 1965; Il partigiano Johnny, 1968; La paga del sabato, 1969; Un Fenoglio alla prima guerra mondiale, 1973; Racconti partigiani, 1976. Nel 1978, diretta da M. Corti, è apparsa l’ed. critica delle Opere (3 voll.), comprensiva di numerosi inediti.

La Malora

Riassunto dettagliatissimo con commento (qualche dubbio sull’elemento “noir”).
http://doc.studenti.it/appunti/libri/2/malora.html

Riassunto più sintetico con “catechismo narratologico” a domande e risposte, certamente un po’ ingenuo ma efficace, infatti contiene molti elementi che servono a chiarire la storia, in particolare cita almeno il destino di Ginotta, un  personaggio importante ma spesso  trascurato.  Si ringrazia

http://isolafelice.forumcommunity.net/?t=44302972

La malora (cfr. Verga, Pavese e  Revelli)

1) Riassunto La storia tratta di una famiglia, i Braida, che viveva a San Benedetto, nelle Langhe piemontesi  e di cui si narra,  all’inizio della storia, la progressiva decadenza economica causata anche dall’atteggiamento del  figlio maggiore, Stefano. Egli infatti  era partito  per la leva militare di ventun mesi e al suo ritorno aveva mostrato scarsa voglia di lavorare, preferendo infine rinunciare al suo ruolo di proprietario per andare a lavorare come garzone in una bottega (cfr. ‘Ntoni il giovane). Inoltre, il figlio minore Emilio fu costretto ad accettare la proposta della maestra del paese, che era creditrice della famiglia: lei avrebbe rinunciato a riscuotere il debito se il ragazzo fosse andato in seminario per diventare sacerdote. Il ragazzo, per senso del dovere,  ha accettato, ma a causa della sua costituzione fragile, degli stenti e del freddo patiti in seminario ad Alba si è ammalato di tisi e, nella parte finale del racconto,  è stato riportato a casa in fin di vita per morire in famiglia. L’ultimo figlio rimasto, Agostino, dovette abbandonare anche lui la casa a soli diciassette anni per lavorare come servitore presso Tobia Rabino per sette marenghi l’anno. Nel primo anno di lavoro al Pavaglione, Agostino faticò molto, perché Tobia voleva trasferirsi sulle prime colline sopra Alba, comperare della buona terra e quindi aveva bisogno di soldi, per cui sottoponeva non solo lui, ma anche la famiglia, a privazioni e fatiche.  Insieme a Tobia, che doveva portare il dovuto al farmacista di cui era mezzadro, dove il diciassettenne si recò ad Alba  per fare visita a suo fratello Emilio, venendo a sapere che in seminario pativa il freddo e la fame, non era più fortunato di lui. Tobia aveva complessivamente tre figli, tra cui una femmina, Ginotta, che, durante il periodo in cui Agostino lavorava presso il Pavaglione, si sposò con un uomo trovato da un sensale, dopo aver rotto il fidanzamento con un giovane chiamato Amabile che voleva una dote troppo alta. Il giorno del matrimonio è descritto come un momento di festa, ma Ginotta e sua madre nopn erano  felici perchè sapevano che avrebbero dovuto separarsi, infatti il marito di Ginotta abitava lontano. Dopo le nozze giunse la notizia della morte di Giovanni Braida, il padre del protagonista, caduto nel pozzo in preda all’ubriachezza;  il figlio riuscì così a ritornare a San Benedetto in tempo per il funerale, rendendosi però conto del fatto che il fratello stava lasciando andare “in malora” i beni di famiglia.  Nei due anni successivi, Agostino conobbe Mario Bernasca, un servitore ribelle che odiava suo padre per i maltrattamenti che gli aveva fatto subire e voleva scappare per trovare fortuna in città con lui. Agostino,  che non aveva lo spirito del ribelle ed era fedele alla famiglia,  non lo seguì e rimase da Tobia (sembra accettare il pensiero di Verga: chi cerca il meglio finisce peggio). Una sera Tobia  litigò ferocemente con il figlio Jano perchè egli aveva prerso le difese della madre, sfinita dalla fatica e  minacciò di ucciderlo con un falcetto, ma poi accettò di prendere una “servente” per alleviare le fatiche domestiche. Intanto si era suicidato il vicino di casa dei Rabino, Costantino del Boscaccio, il cui cadavere fu ritrovato da Agostino nel bosco dove stava tranquillamente passeggiando, prova questa della durezza della vita dei contadini e parziale giustificazione della durezza di Tobia, che picchiava figli e moglie se pensava che mangiassero troppo. Unica consolazione in questa vita di miseria era, soprattutto per le donne, la religione: la madre di Agostino sperava di avere un figlio prete, la moglie di Tobia pregava per invocare la protezione di Dio sulla famiglia e decise ostinatamente di andare in pellegrinaggio, nonostante l’ira del marito  che  la accusava di essere una “pelandraccia”.  Al Pavaglione arrivò dunque Fede, una ragazza che lavorava come domestica, di cui il giovane Braida s’innamorò, ricambiato. Mentre i due pensavano di sposarsi, la famiglia di lei venne a prenderla per farla sposare con un uomo più anziano, ma i due giovani, ancora una volta, non si ribellano, accettando un destino “di malora”.  In seguito, Stefano venne assunto in un negozio appartenente a dei parenti molto ricchi, così Agostino, ormai ventenne, ritornò a San Benedetto,  dove poco dopo il fratello Emilio venne portato per morire. Agostino è però forte, in grado di affrontare il duro lavoro, che però è fonte della sua dignità. Nella scena finale, la madre prega nell vigna, chiedendo a Dio di darle la forza di assistere Emilio morente e affidandogli Agostino quando, dopo la sua morte, sarà solo a Dio il figlio quando sarà solo dopo che lei sarà morta: questo finale è stato valutato diversamente dalla critica: Agostino è un vinto o un vincitore?

2) Individua nel romanzo un lungo esempio di flash-back. La storia è caratterizzata da moltissimi flash-back, infatti racconta le vicende accadute al Pavaglione, i viaggi ad Alba e l’episodio in cui si conobbero i suoi genitori.

3) Chi è il narratore? Quale lingua usa nel suo narrare? Il narratore è Agostino e si tratta di un narratore interno, quindi è presente una focalizzazione interna. Nel suo narrare, utilizza il dialetto delle Langhe, cioè un linguaggio non particolarmente colto (infatti utilizza espressioni interregionali come: “Vecchia bagascia”)e prevale la paratassi nella struttura del romanzo. Le metafore utilizzate sono relative all’ambiente agricolo e contadino.

4) Chi è il protagonista? Quanti anni ha quando narra la sua storia? Com’è fisicamente e psicologicamente? Il protagonista è Agostino e quando narra la sua storia ha vent’anni e qualche mese. Ci viene  detto che è alto e robusto, mentre dal punto di vista psicologico,  è responsabile, devoto alla famiglia e diligente nel lavoro.

5) Dov’è ambientata la sua storia e quale arco di tempo abbraccia? La sua storia è ambientata nelle Langhe Piemontesi, nei primi anni del 1900. L’arco di tempo che abbraccia è di circa venticinque anni.

6) Qual è la legge che regola i rapporti umani? La legge che regola i rapporti umani è l’economicità, infatti Agostino, Fede ed Emilio lavorano per guadagnare soldi per la famiglia; inoltre i rapporti umani sono molto influenzati dal destino e dal fatto che gli uomini siano padroni, all’interno della società.

7) Com’è rappresentato l’elemento femminile? Le donne, nella Malora, sono inferiori e completamente sottomesse agli uomini, infatti quest’ultimi le chiamano con nomi dispregiativi; d’altra parte però, in una società maschilista come quella del primo novecento, il fatto che fossero considerate fedeli e devote alla famiglia è molto positivo, anche perché sono tutte rappresentate come ottime persone (elemento religioso, unico modo per elevarsi al di sopra della meschinità del mondo)

8) Com’è rappresentato l’elemento religioso? E’ casuale che la servente amata da Agostino si chiamasse Fede? L’elemento religioso è molto presente nelle donne, infatti anche Melina, la madre di Agostino, va in pellegrinaggio; invece nelle figure maschili costituisce un elemento negativo, poiché i seminari sono desolati e anche i preti muoiono di fame. In tutta la Malora, Dio è completamente assente e non si parla assolutamente di Provvidenza. Non è casuale che la serva si chiamasse Fede, perché, anche attraverso un gioco di parole, se non fosse arrivata lei, Agostino non avrebbe ritrovato la fede.

http://doc.studenti.it/appunti/letteratura-italiana/3/malora.html Appunto dettagliato con elementi di critica e un  commento molto condivisibile, peccato che sia copiato esattamente da questo sito:   http://www.italialibri.net/opere/malora.html. Se ne offre una versione modificata.

Commento

La malora, cioè la disgrazia, il destino di sventura che sembra incombere sui contadini, pasori e pescatori di tutte le latitudini (dalla Sicilia di Verga alla Marsica di Ignazio Silone alle testimonianze raccolte da Nuto Revelli),  è il vero motore di tutta la vicenda: i personaggi non si ribellano (ad eccezione di Mario Bernasca, sul quale grava il giudizio negativo di Agostino), subiscono passivamente il loro destino. La fame, la miseria, l’avidità, i lutti, le avversità atmosferiche e la sterilità del terreno decidono per loro. Gli abitanti delle Langhe si muovono in un mondo chiuso, un microcosmo i cui orizzonti sono, prima ancora di essere chiusi dalle colline (che vengono descritte dal contemporaneo  Cesare Pavese in chiave simbolica, si pensi a “La luna e i falò), annullati dalla cieca fatica. Il  lavoro che  principio fondante di civiltà e della nostra Costituzione,   è divenuto veicolo d’annullamento di sé, una sorta di alienazione che domina non solo il mondo industriale ma anche quello contadino. Quella che Verga definiva   “la roba”  diviene allora stimolo principale delle azioni, è un desiderio sempre presente, ma destinato a rimanere inappagato e allora diventa mezzo  mezzo di svilimento delle coscienze, soprattutto quelle dei personaggi maschili dominate da un egoismo non mitigato dai principi religiosi. E’ questo desiderio a spingere gli uomini a spezzarsi la schiena lavorando sui campi e a mangiare sempre meno la sera, obbligando le loro famiglie a stenti imposti con la violenza, nella speranza di raggiungere un giorno la “sicurezza” economica. ** Queste sono le motivazioni che spingono Tobia e il padre di Agostino, come sospesi nel vuoto esistenziale riempito dalla cieca fatica, che talvolta spinge i contadini langaroli a porre fine ai propri giorni nel   Tanaro  (si ricordi che anche in questo romanzo è presente il suicidio, quello di Costantino del Boscaccio trovato impiccato dallo stesso Agostino). In questo  duro destino pare ritrovarsi quanto Sciascia diceva a proposito degli zolfatari siciliani: «quando dalla notte della zolfara ascendevano all’incredibile giorno della domenica, le case nel sole o la pioggia che batteva sui tetti, non potevano che rifiutarlo, cercare nel vino un diverso modo di sprofondare nella notte, senza pensiero, senza sentimento del mondo». . Commentando Gli indifferenti di Moravia, Pancrazi scriveva: «Perché anche l’arte sua meravigli vorremmo più respiro, più aria: l’alito di una finestra aperta su questo chiuso, maleodorante girone». E’ importante chiedersi  se un giudizio di questo tipo, fatte le ovvie  distinzioni, possa valere anche per La malora o se vi sia in questo romanzo almeno un barlume di speranza. La risposta è controversa, ma certamente può essere positiva e va ricercata  proprio nel finale. La malora ….lascia gli uomini abbandonati a se stessi, ma non può togliere loro la dignità se riescono ad affrontarla con coraggio, come fa la madre di Agostino nella sua preghiera finale nella vigna, dalla quale emerge una grande dignità anche di fronte alla morte del figlio minore.  E’ significativo che Agostino alla fine della vicenda rimanga solo al mondo: l’ultimo ostacolo da superare, il più difficile, è quello della solitudine, che però deve essere affrontata con forza.  Dinnanzi ad essa il partigiano Johnny, dopo un inverno solitario sui monti, era crollato. Agostino, invece, grazie all’esperienza forte del dolore, probabilmente continuerà a resistere.