Scuole poetiche fra ‘200 e ‘300

Letteratura occitanica

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La letteratura occitanica — talvolta ancora chiamata letteratura provenzale — si sviluppò nel sud della Francia con una produzione di liriche prevalentemente amorose in lingua d’oc e si svolse parallelamente alla produzione letteraria in lingua d’oil  (parlata nel Nord della Francia)che diede l’avvio alla letteratura francese.

Essa nacque nelle ricche e raffinate corti feudali, in un ambiente di costumi detti per questo cortesi e canta soprattutto l’amore ; nella lirica provenzale la donna amata viene rappresentata dai trovatori come castellana o signora (domina), l’amante come vassallo fedele, l’amore come servizio (omaggio e devozione assoluta).

L’amore cortese si basa sull’idea che amore e desiderio siano una cosa sola, e si realizza quindi nel mantenimento di una costante mezura, misura, distanza, tra desiderio di essere appagati e paura di suggellare in tal modo la scomparsa dello stesso: così si spiega quel sentimento complesso proprio dell’amore, fatto di sofferenza e piacere, di angoscia ed esaltazione.
Per questa ragione, anche, esso non può realizzarsi dentro il matrimonio, e l’amore cortese è quindi adultero per definizione. Esso è desiderio fisico, ma soprattutto motivo di elevazione spirituale nell’uomo: serve a nobilitarne l’animo e non può esistere in un animo volgare, ma solo in un animo cortese, dando modo così all’amante vassallo (pertanto senza feudo) di raggiungere i propri signori, se non ad una parità nobiliare almeno spirituale. Sono le prime testimonianze di epoca post-romana di quella dicotomia corpo-anima, diffusissima già in epoca antica che caratterizzerà una parte notevole della cultura europea moderna e contemporanea.

poeti provenzali utilizzarono per la loro lirica una lingua poetica molto raffinata e influirono moltissimo su tutta la lirica d’arte delle altre nazioni e, in Italia, su tutta la lirica d’amore, dalla Scuola siciliana, allo stil novo e allo stesso Dante.

http://www.parodos.it/letteratura/breve/46.htm

La poesia lirica dei trovatori fiorì nella Francia meridionale e in Provenza tra la fine del secolo XI e i primi due decenni del XIII secolo: dopo la crociata contro gli Albigesi e la pace di Parigi del 1229 conobbe un rapido tramonto. È difficile individuare le origini della poesia lirica provenzale. C’è chi la collega alla tradizione classica latina di poesia erotica e chi invece a quella araba, né manca chi la riconnette piuttosto alla poesia religiosa di esaltazione della Vergine, ma nessuna di queste ipotesi può ritenersi definitiva. La poesia dei trovatori è una delle espressioni della vita di corte: anche se i poeti possono essere grandi signori e feudatari, come Guglielmo IX d’Aquitania, per lo più provengono dalle fila della piccola nobiltà (sono cavalieri poveri) oppure sono ministeriales, cioè dipendenti non nobili del signore. Essi, in cambio del loro canto di lode e di devozione, chiedono amore o almeno protezione alla moglie del signore. Si va da un massimo di ritualizzazione, astrazione, formalizzazione tipico del trobar clus [poetare “chiuso” e difficile] a un’apertura alla concretezza, all’amabilità e alla levità della vita, ben espressa dal trobar leu [poetare “lieve”]; dal più raffinato e idealizzato amor de lonh [amore da lontano], cantato da Jaufré Rudel, uno dei più noti poeti provenzali, alla descrizione anche sensuale della donna e degli incontri d’amore. Nella poesia, che pure in genere canta il momento di joi [gioia] dato dalla fin’amor [amore perfetto], non manca il motivo della sofferenza d’amore per l’inaccessibilità della donna, provocata dalla sua lontananza o dalla sua superbia. La forma principale di poesia lirica è rappresentata dalla canzone di 4, 5 o 6 strofe, La canzone d’amore è estremamente formalizzata, sia nella struttura metrica che in quella tematica: esordisce con la descrizione della natura (mostrando per esempio la corrispondenza tra amore e primavera), poi rappresenta la donna e ne canta le lodi, infine introduce la figura del rivale o dei maldicenti che possono danneggiare l’amante; la chiusura è affidata a un congedo che spesso contiene una decisione dell’innamorato in relazione alla sua vicenda d’amore. …. Le poesie liriche erano trasmesse per via orale e destinate alla recitazione con accompagnamento musicale. Poiché però il trovatore affidava al giullare un testo scritto che conteneva anche la melodia, ne è rimasta una relativamente ampia documentazione.. Il primo poeta provenzale fu Guglielmo IX duca d’Aquitania. Fra i poeti successivi, ricordiamo Bernart de Ventadorn, servo d’amore di Eleonora d’Aquitaniaper il quale  l’amore si presenta solo come sofferenza e negatività assoluta. La generazione seguente è rappresentata soprattutto da Bertran de Born (poeta guerriero, canta soprattutto la guerra, posto da Dante all’inferno) e Arnaut Daniel (in Purgatorio, unico passaggio in lingua straniera). Il fatto che la poesia provenzale sia stata così ben conosciuta da Dante non deve stupire: i poeti provenzali influenzarono profondamente sia la poesia lirica tedesca dei Minnesänger, sia quella gallego-portoghese della penisola iberica, sia infine quella italiana dalla Scuola siciliana allo Stil novo sino, appunto, a Dante.

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Il declino e la fine della poesia trobadorica è dovuta principalmente a cause politiche. Quando verso l’inizio del XIII secolo la guerra albigese   portata dal re di Francia aveva decimato la nobiltà locale e devastato parte del territorio occitano, la professione del trovatore cessa di essere remunerativa. Fu allora che molti di questi poeti vennero a trascorrere l’ultima parte della loro vita nel nord della Spagna e dell’Italia, dove la poesia occitana fu per più di una generazione altamente apprezzata. Seguendo il loro esempio, altri poeti che non erano originari della Francia meridionale iniziarono a comporre in occitano, e questa “moda” continua fino  alla metà del XIII secolo.

 https://www.youtube.com/watch?v=j0kI0aeYHww

I TROVATORI DI OGGI:
la rivisitazione della musica occitana

LOU DALFIN
http://loudalfin.it/index.php/biografia

SERGIO BERARDO DESCRIVE LA GHIRONDA (VIOULO)
https://www.youtube.com/watch?v=NH3c_Q2bNJU

https://www.musixmatch.com/it/testo/Lou-Dalfin/Seguida-Dels-Camisards

Seguida dels  camisards     

 

Vai ‘ma lo vent, caval bianc de Camarga
ferma-te pas  (ren) nhanca a tirar lo fiat
Vai ‘ma lo vent, caval bianc de Camarga
ferma-te pas (ren) nhanca a tirar lo fiat

Vai, veloce come il vento,
cavallo bianco della Camargue
non ti fermare,
neanche per tirare il fiato

Vai que l’ora rebela es arubàa, mon fraire
anen fito jontar-se ai camisards
Vai que l’ora rebela es arubàa, mon fraire
anen fito jontar-se ai camisards

Vai, che l’ora
ribelle è arrivata, fratello mio,
raggiungiamo, presto,
i Camisards.

Flor de garriga, aura de revòlta
pron de vergohna anen, lo cap levat
Flor de garriga, aura de revòlta
pron de vergohna anen, lo cap levat

Fiore di gariga,
vento di rivolta
senza vergogna, andiamo a testa alta
a testa alta

Senca mestre, cadena, joc e pòur, mon fraire
dins ton sabre es nòsta libertat.
Senca mestre, cadena, joc e pòur, mon fraire
dins ton sabre es nòsta libertat.

Senza maestri,
catene, giogo, e paura, fratello mio,
nella tua spada
c’è la nostra libertà.

D’un cant a l’autre nòsta terra crema
cada montanha estrema un escabòt
D’un cant a l’autre nòsta terra crema
cada montanha estrema un escabòt

Da un angolo all’altro
la nostra terra arde
in ogni vallata
si nasconde un brigante

D’òmes libres, senhors de lor destin, mon fraire
Camisards, sem mestre del chamin
D’òmes libres, senhors de lor destin, mon fraire
Camisards, sem mestre del chamin

Uomini liberi,
padroni del proprio destino,
fratello mio,
Camisards, siamo i maestri del cammino.

Joan Cavalier comanda la bregada
lo rei de Francia comencia a tramolar
Joan Cavalier comanda la bregada
lo rei de Francia comencia a tramolar

Joan Cavalier
comanda la brigata
il re di Francia
comincia a tremare
Joan Cavalier
comanda la brigata
contro i “borrels”
noi viceremo.

Joan Cavalier comanda (o) la bregada
contr i borrels non anarem ganhar.
Joan Cavalier comanda (o) la bregada
contr i borrels non anarem ganhar.

Chi rinuncia
a combattere per ciò che ama
si abitua
ad amare (solo) ciò che ha.
Chi rinuncia
a combattere per ciò che ama
si arrende,
e perde la sua dignità

Qui renoncia
a batalhar pr’aquò que àma
se costuma
e ùna (amo) aquò que a
qui renoncia
a batalhar pr’aquò que àma
al se rend
e perd la dignitat.

https://www.antiwarsongs.org/canzone.php?id=52804&lang=it

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La Scuola Siciliana fu una corrente filosoficoletteraria che si sviluppò in Sicilia nella prima metà del XIII secolo, presso la corte di Federico II di Svevia. In Sicilia, Federico II, imperatore e re di Sicilia, aveva creato uno stato ordinato e pacifico. La sua corte fu operosa tra il 1230 e il 1250, anni in cui si sviluppò la Scuola Siciliana. Qui nacquero grandi poeti che componevano in lingua provenzale e che andavano di corte in corte cantando l’amore, la bellezza femminile e le imprese coraggiose dei cavalieri. I poeti siciliani presero i provenzali come modello e si ispirarono a loro per comporre poesie d’amore. Non si occuparono, invece, di temi legati alla guerra, poiché Federico II garantiva pace e serenità all’interno del suo regno. I poeti di questa corrente poetica narravano la completa sottomissione che si rende alla donna, proprio come un vassallo verso il suo padrone.

Federico II di Svevia era un sovrano illuminato, capace di alternare distensione e comprensione del punto di vista altrui (anche assecondando la presenza di più espressioni religiose all’interno del suo regno), con il pugno di ferro, che non esitava ad esercitare quando necessario, secondo le abitudini dell’epoca in cui si svolse la sua esperienza umana. È rimarchevole che sia riuscito a compiere una crociata, la sesta, senza combatterla, grazie a un sistema di ambasciate che scongiurarono lo scontro con il sultano al-Malik al-Kamil e che, trasformandosi in un incontro tra filosofi, condusse gli occidentali all’introduzione dello zero (per il tramite del dialogo tra gli esponenti della corte di al-Kamil eLeonardo Fibonacci, matematico pisano della corte di Federico II).

Fu un uomo molto colto: parlava infatti il tedesco, il francese (poiché aveva madre normanna e padre svevo), conosceva il greco, il latino, l’arabo, il volgare siciliano che egli stesso volle valorizzare, e l’ebraico.
……
Creò l’Università di Napoli (famosa per gli studi giuridici) e quella di Salerno (prima per la medicina); finanziò gli studenti, obbligandoli però a iscriversi alle sue università; fermò la repressione dei musulmani e li trasferì nella colonia musulmana di Lucera, dove sono lasciati liberi, purché a lui fedeli. Nel 1231, promulgò una raccolta di leggi (le costituzioni di Melfi), con cui diede ordine al regno e controlla i poteri amministrativo, legislativo e giudiziario. Ne risultò una nuova forma di Statolaico, accentrato, burocratico che anticipa la struttura dei futuri Stati europei. Uno di questi funzionari fu Pier delle Vigne, noto anche come poeta, citato da Dante nell’Inferno.

I testi della Scuola Siciliana [modifica]

Non si dispone di una perfetta testimonianza della vera lingua utilizzata dai poeti della corte di Federico II perchè i testi ci sono pervenuti in manoscritti riveduti da poeti toscani. Degli originali, si è salvato soltanto un componimento intero,  Seguendo l’ordine dato dal manoscritto, gli esponenti della scuola siciliana furono: Giacomo da Lentini, considerato anche il caposcuola e largamente noto perché a lui è attribuita l’invenzione della forma metrica del sonetto, , Guido delle ColonnePier della Vigna,    Federico II , Cielo d’Alcamo,  e molti altri.

I poeti di questa corrente letteraria appartenevano all’alta borghesia, ed erano tutti funzionari di corte, o burocrati, che lavoravano presso la corte di Federico. …La produzione poetica era riservata alla libertà dello spirito e non costituiva un lavoro o una funzione. La lingua in cui i documenti della Scuola Siciliana sono espressi è il Siciliano Illustre, una lingua nobilitata dal continuo raffronto con le lingue auliche del tempo: il latino ed il provenzale (lingua d’oc, diversa dal francese che si chiama invece lingua d’oil).

La Scuola Siciliana fu travolta dal sistema di congiure e di complotti che fu ordita contro il sistema di governo di Federico II, eccessivamente illuminato per il suo tempo e forse, soprattutto, per la paura che lo Stato Pontificio aveva della possibilità che Federico II riunificasse la corona di Sicilia con quella di Germania, circostanza che avrebbe costretto il papato nella morsa del regno di Hohenstaufen. Della congiura di cui fu accusato Pier delle Vigne nei confronti di Federico II diede  monumentale testimonianza Dante Alighieri (D.C., Inferno XIII), peraltro asserendo l’estraneità di Pier delle Vigne alle accuse (probabilmente invece egli alcuni atti di tradimen to li aveva commessi davvero). Dopo la morte di Federico, la Scuola ebbe un rapido tramonto.

Importanza linguistica della scuola siciliana [modifica]

Grazie all’arrivo presso la corte siciliana di Federico II dei poeti trobadour provenzali, che esiliati, trovarono rifugio presso la corte del re di Svevia, i poeti siciliani iniziarono a leggerli ed a frequentarli e si accinsero a scrivere nella stessa maniera. La nuova poesia diede l’opportunità al volgare, che fino ad allora era usato solo in qualche canto plebeo o giullaresco  di diventare pregevole e di essere degna della poesia (come discuterà poi Dante nel ‘De Vulgari Eloquentia‘). La scuola siciliana ha anche il credito di aver introdotto un sistema metrico nuovo e rivoluzionario, il Sonetto, che finirà per essere il sistema canonico per eccellenza per fare poesia (Petrarca infatti userà questo sistema, mettendo in rilievo la praticità e musicalità che questa forma poetica dimostra).

 La scuola toscana e Guittone d’Arezzo

http://balbruno.altervista.org/index-199.html

L’eredità dei poeti federiciani fu raccolta nell’Italia centrale dai cosiddetti poeti siculo-toscani (solo grazie ai canzonieri toscani oggi possiamo leggere, seppure in forma non originale, la poesia dei Siciliani), e in un ambiente culturale più avanzato: Firenze, dopo la battaglia di Campaldino (1289) era diventata una capitale economica europea, in fase di espansione per tutta la Toscana. Il maggior poeta fu Guittone d’Arezzo (1235-94).

La tradizione siciliana viene dunque proseguita in Toscana perché molti intellettuali di questa regione erano vissuti per vario tempo alla corte di Federico II. Qui i componimenti ispirati al tema dell’amore non si discostano dai motivi cari ai siciliani e ai provenzali, però la preoccupazione -essendo le condizioni politico-sociali delle città toscane molto sviluppate- è quella di fare una lirica dotta, erudita, in uno stile complesso-difficile-ricercato. Inoltre non mancano i temi politici, soprattutto quelli dedicati a Firenze.

Mentre la lirica dei Siciliani era legata all’ambiente ed alle professioni della corte, quella toscana riflette la realtà della città comunale ed i suoi poeti sono sempre, in qualche modo, parte della vita sociale e politica della loro città, cosicché la loro arte si distinse, oltreché per la ricerca formale, per un forte senso civico.

Tra i più noti rappresentanti di questa scuola vi sono Bonagiunta da Lucca, e Guittone d’Arezzo (1230-1294).

COMPIUTA DONZELLA

http://www.letteraturaalfemminile.it/compiuta_donzella.htm

Resta un enigma storico Compiuta Donzella, il nome, o lo pseudonimo, sotto cui si cela una rimatrice fiorentina del Duecento, probabilmente la prima donna che compose poesia d’arte in volgare italiano, della quale ci sono pervenuti solo tre sonetti di gusto trobadorico e giullaresco, due dei quali di una perfezione formale molto vicina a quella del Petrarca.

Per mancanza di altri riscontri, letterarî o biografici, la Compiuta (nome, peraltro, usuale nella Firenze del tempo in cui visse) è stata a lungo oggetto d’inattendibili ipotesi spesso di carattere romanzesco.

Guittone d’Arezzo le indirizza un’epistola, la quinta, che suona come un panegirico delle sue virtù:

A LA STAGION CHE ‘L MONDO FOGLIA E FIORA

A la stagion che ‘l mondo foglia e fiora
acresce gioia a tutti fin’amanti,
e vanno insieme a li giardini alora
che gli auscelletti fanno dolzi canti;
la franca gente tutta s’inamora,
e di servir ciascun tragges’inanti,
ed ogni damigella in gioia dimora;
e me, n’abondan marrimenti e pianti.

Ca lo mio padre m’ha messa ‘n errore,
e tenemi sovente in forte doglia:
donar mi vole a mia forza segnore,
ed io di ciò non ho disìo né voglia,
e ‘n gran tormento vivo a tutte l’ore;
però non mi ralegra fior né foglia.

Nella stagione in cui la natura è adorna di foglie e fiori aumenta la gioia di tutti gli innamorati cortesi, ed insieme passeggiano nei giardini mentre gli uccellini intonano dolci melodie.

Tutte le persone d’animo gentile s’innamorano, ciascuno si rende disponibile ai servigi d’amore, ed ogni fanciulla attende gioiosamente; quanto a me, mi pervadono la tristezza e il pianto, poiché mio padre mi ha indotta in uno stato d’incertezza, e spesso mi costringe ad essere addolorata: vuole costringermi a sposarmi controvoglia, ma io non ho né voglia né desiderio di sposarmi, e trascorro le ore nello sconforto, per questo la primavera non mi fa gioire.

IL DOLCE STIL NOVO

Il dolce stil novo, detto anche stilnovismo, è un importante movimento poetico italiano che si è sviluppato nella seconda metà del Duecento. Corrente che segna l’inizio del secolo, il dolce stil novo influenzerà parte della poesia italiana fino a Petrarca: diviene guida infatti di una profonda ricerca verso un’espressione raffinata e nobile dei propri pensieri,  portando la tradizione letteraria italiana verso l’ideale di un gusto ricercato. Nascono le rime nuove, una poesia che non ha più al centro soltanto la sofferenza dell’amante, ma anche le celebrazioni delle doti spirituali dell’amata. A confronto con le tendenze precedenti, come la scuola guittoniana o più in generale la lirica toscana, la poetica stilnovista acquista un carattere qualitativo e intellettuale più elevato: il regolare uso di metafore e simbolismi, così come i duplici significati delle parole.

L’origine dell’espressione è da rintracciare nella Divina Commedia di Dante Alighieri (Canto XXIV del Purgatorio): in essa infatti il rimatore guittoniano Bonagiunta Orbicciani da Lucca definisce la canzone dantesca Donne ch’avete intelletto d’amore con l’espressione ‘dolce stil novo’, distinguendola dalla produzione precedente (come quella del Notaro Jacopo da Lentini, di Guittone e sua), per il modo di penetrare interiormente luminoso e semplice, libero dal nodo dell’eccessivo formalismo stilistico (Guittone d’ Arezzo). Poesia:

« “…Ma dì s’i’ veggio qui colui che fore

trasse le nove rime, cominciando

Donne ch’avete intelletto d’amore.”

E io a lui: “I’mi son un che, quando

Amor mi spira, noto, e a quel modo

ch’e’ ditta dentro vo significando.”

“O frate, issa vegg’io”, diss’elli, “il nodo

che ‘l Notaro e Guittone e me ritenne

di qua dal dolce stil novo ch’i’ odo!…” »

(Purg. XXIV, vv. 49-57)

Il movimento [modifica]

Nasce a Bologna, e poi si sviluppa a Firenze.. Il manifesto di questa nuova corrente poetica è la canzone di Guinizzelli  Al cor gentil rempaira sempre amore; in questo componimento egli esplicita le caratteristiche della donna intesa dagli stilnovisti che poi sarà il cardine della poesia stilnovista. La figura femminile evolve verso la figura donna-angelo, intermediaria tra uomo e Dio, capace di sublimare il desiderio maschile purché l’uomo possegga un cuore gentile, cioè nobile d’animo; amore e cuore gentile finiscono così con l’identificarsi totalmente. Questa teoria, avvalorata nel componimento da molteplici sillogismi, rimarrà la base della poesia di Dante e di coloro che fecero parte dello Stil Novo, di generazione successiva, che vedranno in Guinizzelli e Alighieri i loro maestri. (…)

L’amore [modifica]

Con lo Stilnovo si afferma un nuovo concetto di amore impossibile, che aveva i suoi ovvi precedenti nella tradizione culturale e letteraria trobadorica e siciliana, nonché un nuovo concetto di donna, concepita adesso come donna angelo, donna angelicata: la donna, nella visione stilnovistica, ha la funzione di indirizzare l’animo dell’uomo verso la sua nobilitazione e sublimazione: quella dell’Amore assoluto identificabile pressoché con l’immagine della purezza di Dio. ….  I concetti dell’amore e della sua trascendenza in grado di dettare le parole al cuore del poeta stilnovista sono profondamente legate alla natura elitaria e ristretta del circolo (mai tuttavia vi fu una scuola stilnovista) ed agli studi in ambito filosofico dei partecipanti del suddetto. Tuttavia, le esperienze poetiche, sebbene accomunate da fattori comuni, differiscono ovviamente l’una dall’altra: si passa dalle varie accezioni dell’esperienza amorosa (da nobilitante ad angosciante ed inebetente) proprie del canzoniere cavalcantiano.

GUIDO GUINIZZELLI  Nella sua canzone Al cor gentil rempaira sempre amore, immagina, nei versi finali, di potersi giustificare di fronte a Dio che lo interroga sul motivo per cui indirizzò ad un essere umano le lodi e l’amore che a Lui e alla Madonna soltanto convengono; a tali domande egli si giustifica testimoniando l’angelicità della semblanza dell’amata: “Tenne d’angel semblanza / che fosse del tuo regno; / non me fu fallo, s’in lei posi amanza” (vv. 57-60), ossia “aveva l’aspetto (semblanza) di un angelo che appartenesse al tuo regno, non feci peccato (non me fu fallo) se posi in lei il mio amore (amanza)”.  A questa visione spiritualizzata dell’amore non sono estranei influssi filosofico-religiosi della Scolastica medievale: il pensiero di San Tommaso D’Aquino, il misticismo di San Bonaventura, nonché le riflessioni di Aristotele lette attraverso l’interpretazione medievale del filosofo arabo Averroé (la dottrina di Guido Cavalcanti sugli spiritelli è di matrice averroistica). I vecchi valori della precedente cultura hanno ormai ceduto il passo di fronte alle nuove generazioni della civiltà comunale, che si sentono nobili per una loro nobiltà spirituale conquistata con l’esperienza, la vita, la meditazione e la dottrina e che si riassume in una nuova coscienza di aristocratica gentilezza d’animo e di mente.[1]

(si pensi alle caratteristiche dei poetae novi: analogie e differenze)

Guido Cavalcanti Lo vostro bel saluto e gentil sguardo

http://www.skuola.net/appunti-italiano/letteratura-medievale/medioevo-autori-letteratura/guinizelli-vostro-saluto-gentil-sguardo.html

Da “Al cor gentil rempaira sempre amore”

Al cor gentil rempaira sempre amore
come l’ausello in selva a la verdura;
né fe’ amor anti che gentil core,
né gentil core anti ch’amor, natura:
ch’adesso con’ ful sole,
sì tosto lo splendore fu lucente,
né fu davanti ‘l sole;
e prende amore in gentilezza loco
così propïamente
come calore in clarità di foco.

…….

Fere lo sol lo fango tutto ‘l giorno:
vile reman, né ‘l sol perde calore;
dis’omo alter: « Gentil per sclatta torno »;
lui semblo al fango, al sol gentil valore:
ché non dé dar om
che gentilezza sia fòr di coraggio
in degnità d’ere’…

Donna, Deo mi dirà: « Che presomisti? »,
sïando l’alma mia a lui davanti.
« Lo ciel passasti e ‘nfin a Me venisti
e desti in vano amor Me per semblanti:
ch’a Me conven le laude
e a la reina del regname degno,
per cui cessa onne fraude ».
Dir Li porò: « Tenne d’angel sembianza
che fosse del Tuo regno;
non me fu fallo, s’in lei posi amanza ».